“Penso che se potessi vivere ancora quarant’anni e in questo tempo leggere, leggere e leggere, e imparare a scrivere con talento, cioè il più brevemente possibile, allora alla fine di questi quarant’anni farei fuoco su voi tutti con un cannone così enorme che i cieli ne tremerebbero, ma per il momento sono un lillipuziano come tutti gli altri.”

Anton Cechov, lettera a Suvorin

Sono i tempi dei pacchi alimentari, pasta, zucchero e caffè, ogni tanto li distribuiscono in sagrestia. Nel pacco di carta marrone, che il piccolo Macchianera subito porta a casa, ci sono anche dei biglietti rettangolari con foto, numero e scudocrociato. Appena lui arriva mamma sorride e, in fretta, mette pasta, zucchero e caffè nei pensili bianchi della cucina. I biglietti, invece, li conserva assieme agli altri santini, nel portafoglio.

Macchianera fa anche cose che non dovrebbe, come giocare a calciobalilla sotto la foto del faccione di Stalin; questo sua mamma finge di non saperlo.

Ma oggi mamma non può fingere, Macchianera sta prendendo a calci un pallone quando e dove non si può, mattina della Prima Comunione e sul piazzale appena incatramato della chiesa.

La punta della scarpa sinistra da bianca diventa fatalmente nera. Nonostante i tentativi e i pianti di mamma per farla sparire sarebbe stato l’unico con una macchia. E lui :

“…Ma se c’è un pallone bisogna calciarlo, e non capiva quello che sentiva intorno, ‘a vedova non ce riesce mica a sta’ dietro ai fiji e a lavorà…”

Chissà se Macchianera ancora sente bisbigliare la gente intorno.

 

Macchianera è un mio piccolo racconto, a cui sono stranamente affezionato, lo trovate sul libro Sjette,
casa editrice Tapirulan, illustrato dalla bravissima Giulia Pastorino.