All’ultima corsa Gigi gli aveva dati i soldi, scommetti e vinci, hai capito? Lui aveva scommesso, e perso. All’arrivo tese a Gigi la ricevuta, lui la gettò a terra e accese una sigaretta senza filtro, di quelle col pacchetto verde e bianco, con la caravella;

  • Annamo Mari’ – chiamò mamma, che era rimasta tutto il pomeriggio seduta su un gradino, invece di stare con loro.

Lancia Fulvia 2C; arrivarono al dosso, quello che a Silvio piaceva, gli faceva venire lo stomaco in gola, lì Gigi accelerava, la macchina sobbalzava e lui rideva.

Stavolta rallentò.

  • … me devi sta’ a senti’ Mari’, guarda Renzo che omo sta a veni’ fora, quello spacca le pietre.

 

Era grosso Gigi, la faccia cotta dal sole, le dita tozze e callose; a Roma li chiamavano palazzinari, trasformavano la campagna in periferia. Lo portava con lui, a vedere le palazzine che stava costruendo, e Silvio restava affascinato dai miscelatori sui lavandini, che a casa lui aveva solo i rubinetti; quando Gigi si allontanava, qualche muratore subito gli chiedeva se era figlio suo; Silvio arrossiva, abbassava lo sguardo e se ne andava verso le porte finestre, a vedere i balconi che ancora non c’erano, e poi le scale senza ringhiere.

Gli piaceva pensare che Gigi avrebbe potuto demolire anche tutto il palazzo dove vivevano, costruendone in breve tempo uno davvero nuovo, fregandosene di Lemarini, il signore ebreo, oblungo e magro proprietario del palazzo di fronte, quello col giardino, la fontana dei pesci rossi e il melograno, che si sarebbe certo lamentato della polvere.