Era in jeans, camicione bianco e i suoi anfibi; affondò nella sedia, allungando le gambe verso di me.

-Allora piacere – tendendomi il bicchiere.

Tante parole, e i suoi viaggi, Vienna, Londra e Parigi, da ragazza, poi immancabilmente Berlino e Barcellona, non si disse con chi, e aggiunte recenti: Erice, Marrakech, Istanbul, Gerusalemme.

-Mi piacerebbe un casino vedere New York, ma non posso ancora permettermelo.

E io che già mi svegliavo con lei addosso poi a correre in Central Park, e al Moma a discutere d’arte e non capirci nulla, ma l’arte serve a far parlare le persone tra loro, no? È lì che prima c’erano le Twin Towers, e pranzavamo al Village, e passeggiavamo assieme, andiamo a San Francisco, anzi, meglio Las Vegas, stiamo al Bellagio che ci sono i giochi d’acqua, le slot e vinciamo, e la Death Valley, il Gran Canyon, le sequoie del National Park, ci sono gli orsi, sai. E le fragilità dell’Arches, gli slanci del Bryce e guidiamo ancora, Monterey, pellicani, foche e Vicolo Cannery, le sue labbra rosse e umide, e lei che dice che questa vita è una meraviglia.

Aveva invece detto qualcosa che non sentii; ed era arrivato il mio treno.

-Non so quando torno…
-Beh, quando torni, ricordati che qui ci sono anch’io, ciao